L’usucapione è un istituto giuridico che consente l’acquisto della proprietà di un bene per effetto del possesso qualificato dello stesso, prolungato per il tempo previsto dalla legge.
Sorprenderà sapere che detto istituto può operare anche nei confronti di beni condominiali, ove esso, collegandosi al diritto di usare le cose comuni attribuito a ciascun condòmino dall’art. 1102 c.c., può espanderlo sino a determinare, da parte di questi, l’acquisto della proprietà esclusiva di un bene condominiale.
Sulla questione, ormai pacifica, si è pronunciata la Suprema Corte, la quale ha ribadito che il condòmino può usucapire la quota degli altri senza che sia necessaria una vera e propria interversione del possesso (consistente nel cambiamento della detenzione in possesso, uti domino, corrisponde all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui).
Pertanto, per accertare l’avvenuta usucapione, non sarà sufficiente provare che gli altri condòmini si siano astenuti dall’usare il bene comune, essendo il diritto di comproprietà imprescrittibile, ma occorrerà che il condòmino dimostri di aver goduto del bene stesso in modo esclusivo e inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere, come titolare esclusivo e non più come condòmino, senza alcuna altrui opposizione, per venti anni.
A fronte di ciò, il condòmino che rivendica di aver usucapito il bene comune deve provare di averlo sottratto all’uso comune per tutto il periodo utile all’usucapione e quindi, deve dimostrare di avere tenuto una condotta diretta a rivelare, in modo inequivoco, che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, costituito da atti univoci rivolti contro i compossessori, e tale da rendere riconoscibile, a questi ultimi, l’intenzione di non possedere più come semplice compossessore ma come vero e proprio proprietario, non bastando quindi la prova del mero non uso da parte degli altri condomini.
Giovanni Baravelli Sabena